:Ritual: #1, 01-02/2000
Kirlian Camera - Il Grande Freddo
Poche volte il termine band di culto è stato
usato così propriamente come nel caso di questa formazione parmense.
E aria di culto vero e proprio, soprattutto da parte dei goth tedeschi, si
respirava nella scorsa edizione del Wave-Gotik Treffen di Lipsia poco prima
che i nostri KC salissero sul palco. Per fortuna c'è qualcuno che si
comincia ad accorgere del loro spessore anche qui in Italia. Per chi non li
conoscesse diciamo subito che la musica di KC non è facile da
descrivere, essendo basata soprattutto su un complesso impianto sonico-emozionale
che varia da pezzo a pezzo. Volendo semplificare si tratta di una elettronica
abbastanza minimale, fondamentalmente inquietante ed oscura, ma risplendente
in alcuni passaggi di una luminosità gelida ed abbagliante che solo
gli scenari polari posseggono. E proprio ad una desolata "landscape" polare
è stato affidato il compito di sottolineare la sentita protesta dei
KC, espressa sotto forma di traccia rom posta all'inizio del loro ultimo Mcd
'The Burning Sea' (estratto dal nuovo 'Unidentified Light', recensilo su
questo numero), nei confronti di tutta quella frangia di gente che si ostina
a commentare, accusare e addirittura a diffamare la band in base a semplici
supposizioni scaturite da tutto tranne che dalla musica. componente
fondamentale dell'identità dei Kirlian Camera. Lasciamo alla
sensibilità soggettiva la scelta di calarsi o no nella diatriba e di
andarsi a leggere il comunicato che coraggiosamente Angelo Bergamini ha
voluto pubblicare in apertura del suo ultimo Mcd, e focalizziamoci su questa
emozionante ed emozionale band...
Prima di tutto ci interessa sottolineare il grado 'avanzato' di ricerca
sonora che KC sta portando avanti da qualche anno a questa parte. Gli
arrangiamenti sono diventati scarni, essenziali, raggiungendo di contro una
profondità ed originalità raramente individuabile in band
italiane. Ritieni anche tu, come sostiene tutta una moderna scuola di
architetti, che "the iess is more" (ovvero che ci vuole una grandissima
esperienza per togliere mano a mano elementi di progetto rimanendo alla fine
con poche ma precisissime linee guida, che alla fine sono vere e proprie
gemme sintetizzate da tutto quello che si voleva dire in partenza)?
Sì, alcune volte è meglio, almeno per me, cercare di evitare il
sovraffollamento di suoni all'interno di un brano, o meglio, magari usarne
diversi, ma alternandoli e non sempre e solo sovrapponendoli. Negli ultimi
lavori di KC e soprattutto su '... Light', si cerca di unire comunque una
certa complessità di arrangiamento ad una 'fruibilità' che non
vada mai a discapito dell'aspetto passionale. Credo si tratti di maggiore
chiarezza e di un netto rifiuto verso il solito atteggiamento menefreghista
nei riguardi dell'elaborazione ed analisi del suono, che in ambito underground
e non solo è cosa frequente. Un atteggiamento imperdonabile in band
non agli esordi, comunque. La faciloneria con cui si cerca il rapporto col
pubblico che acquista dischi è inaccettabile e sà di presa in
giro. Abbiamo cercato di dimostrare il contrario, poi è chiaro, il
lavoro non piacerà a molti, ma non si può dire che non ci sia
presi cura di esso. Spesso, la cosa più difficile nel comporre ed
arrangiare è tenere presente di non voler perdere le sfumature e, nello
stesso tempo, evitare quindi di farcire il suono con effetti dozzinali,
così, è difficile cercare una via personale che possa amalgamare
sentimento, architetture varie e complessità, cercando di non risultare
incomprensibili od ostici a chi ascolta. Noi ci proviamo, poi deciderà
chi ascolta.
Musicalmente parlando mi sembra che sia dedicata una
particolare attenzione alle timbriche percussive e alla loro equalizzazione,
dando grande risalto anche alle linee vocali.
Abbiamo temporaneamente evitato l'uso di "tastieroni" a volte fin troppo
d'effetto, per curare maggiormente arrangiamenti ritmici e voci, a volte
addirittura decidendo di sopprimere quasi totalmente ambientazione del suono
vocale e percussivo, lasciando spazio ad una fredda "presenza". Quando
andiamo in questa direzione, nei brani che lo richiedono, si attua una
decisione piuttosto difficile da prendere, perché addizionare solo
un vago filtro richiede davvero molto tempo, data la nudità che si
impone al suono. Il gioco sulle frequenze è sempre più decisivo
in questo momento per noi. Certo è meglio evitare la maniacalità,
anche perché molte cose "d'impulso" sono belle in quanto tali, se
efficaci.
Ci parleresti delle principali differenze tra il nuovo
'Unidentified Light' ed i precedenti mini, 'The Desert lnside' e 'Drifting'?
'The Desert Inside' ha segnato il passaggio dai KC "intermedi", quelli di
fine '80/metà '90, ad un ulteriore sviluppo di interessi, anche se
già con 'Solaris', registrato tra il '92 ed il '95, si erano già
potuti manifestare orientamenti elettronici non in piena sintorna col passato
del gruppo, in quel caso basati sul recupero di certe sonorità
volutamente "di serie B". In 'Desert...' comincia a (ri)nascere l'interesse
per una ricerca che spesso vada a realizzarsi nella forma-canzone, ma forse
è proprio con 'Drifting' che tutto viene focalizzato e perde in
ingenuità. Volevamo costruire una musica elettronicamente fredda,
glaciale, che però evitasse di fotocopiare i Kraftwerk, come troppo
spesso invece accade. Loro sono bravissimi, i loro cloni a volte apprezzabili,
ma ci doveva pur essere una qualche altra soluzione! La soluzione è
venuta dalla vita di merda che faccio... Non potevo creare un lavoro
"elettronicamente gelido" ed impalpabile, avevo pur bisogno di buttarci
dentro angoscia... Così, la freddezza si è unita alla passione,
creando l'amalgama che da tempo volevo ma non avevo capito ancora come
realizzare, forse perché ancora troppo legato alla epicità fin
troppo esplicita di pads larghi ed archi, che sinceramente amo tutt'ora, ma
che spesso concludono le coso un po' frettolosamente e non aiutano a
comprendere le strutture più complicate, ma allo stesso tempo più
capaci di rappresentare i sentimenti. Con 'Unideritified Light' stiamo
cercando di evolvere ritmiche complesse verso la loro relativa comprensione,
unendole maggiormente con parti vocali anche apertamentre melodiche, evitando
lo scoglio del "parlato" o dello "urlati". In pratica abbiamo voluto creare
una sorta di pop-music personale, piuttosto gelida e dipendente
dall'elettronica non campionata, dando spazio a strutture ritmiche a volte un
po' "difficili" che potessero comunque offrire un buon supporto alle voci.
Questo album ha richiesto una lavorazione piuttosto lunga ma non potevo
accettare nessuna attitudine semplicistica. Doveva suonare come era nei miei
intenti, non potevo rischiare di essere troppo frainteso. Gli stessi testi,
sono in questa direzione... Sono "veri", ed hanno perso l'enfasi spesso
presente nel passato.
Gli strumenti elettronici diventano splendidi interpreti
di ricercate tessiture musicali nelle mani di KC, ma parlaci dei tuoi "punti
deboli": synth di cui non potresti mai fare a meno, le fonti sonore che ami
maggiormante campionare, la tua passione per l'uso del Vocoder, che in 'Your
Face In The Gray Sun'tocca vette di inedita espressività...
Sono da sempre attento alle uscite sul mercato di nuovi strumenti elettronici
e mi tengo informato, cercando anche di approfondirne l'uso, quando è
possibile. Quindi ho avuto un notevole ricambio di apparecchiature varie
lungo gli anni. Non sono mai riuscito a sbarazzarmi del mio Roland Juno-60
midizzato, che è presente anche sull'ultimo lavoro... Questo strumento
è sopravvissuto alla metà degli anni '80, quando i tremendi
DX-7 spadroneggiavano coi loro suoni orrendi... L'ho sempre usato, anche in
quei momenti di "morte dell'analogico". Poi sono molto affezionato all'EMS
Synthi A/AKS, che ultimamente stò usando parecchio, e, in materia di
vocoding, mi piace il vecchio Korg DVP-1, abbastanza valido per le parti
polifoniche; uso anche un Boss VT-1, soprattutto dal vivo, evitandone i
presets. Sto ancora cercando il vocoder perfetto per le mie esigenze... Forse
quello a bordo del Ouasimidi Sirius, almeno dal vivo, potrà fare al
caso.
La tua carriera come musicista inizia addirittura nel
1974: quale era l'atmosfera che si respirava all'epoca in Italia?
Sì, ho fatto il primo concerto nel '74 ed ho iniziato a fare
registrazioni alla fine dei '60, da bambino, su un magnetofono scassato che
usavo anche come una specie di Theremin... C'era molta eccitazione nell'aria
per quanto riguarda il "suono alternativo" e la cosiddetta "avanguardia",
che etichette come Bla-Bla e Cramps alimentavano discretamente. Una scena
elettronica non-colta esisteva, ma faticava ad imporsi, fra
l'altro i synths erano ancora costosi e poco versatili, quindi ce ne voleva
più di uno se volevi costruire realmente in parte i suoni che cercavi.
Chi era senza soldi doveva andare a rompere le palle a chi costruiva vari
cassoni elettronici a pochi soldi, i quali spesso però erano veri cessi
ingovernabili. Se non ti andava di suonare la chitarra o gli strumenti
tradizionali e non avevi voglia di fare solo cover dei Cream, era un problema,
soprattutto per chi, ripeto, non aveva possibilità nemmeno di sborsare
mille lire per il cinema... Certo, i Cream erano bravi in quel loro genere,
ma... esistevano già! Verso l'inizio degli anni '80, con l'esplosione
della new wave elettronica e lo sviluppo dell'elettronica musicale, sono
arrivati un po' di aiuti. Ricordo quando comprai la Korg KR-55 e poi la
TR-8O8 Roland... era finito l'incubo delle batterie da organo elettronico e
di quelle inavvicinabili a schede perforate...
Come hai vissuto il passaggio agli anni '80 e ai '90?
Cosa prevedi per il suono dei KC dopo la fatidica soglia del 2000?
Devo ammettere che l'inizio degli anni '90 mi aveva fatto temere il peggio...
la momentanea morte dell'acid house e la tempesta rap/hip hop mi
preoccupavano. Anche l'arresto creativo della new wave nella seconda metà
degli '80 era stato un brutto annuncio di impotenza del "suono oscuro" nei
riguardi di uno sviluppo progressivo. Nel nostro "giro" la situazione era
grottesca: in Germania e Benelux continuavano a nascere fotocopie umane di
Sisters of Mercy o Front 242! Se cercavi nuove soluzioni eri considerato
"post-industrial"... ma a me quel giro di cagoni non interessava
molto, dato che non reggo gli snob... E poi fare una scorreggia e combinarla
con due bidoni della spazzatura per poi condire il tutto con citazioni
altisonanti mi fa star male! La scena industrial '90 non mi ha mai interessato,
era tutto già troppo vecchio, una specie di spettacolarizzazione
non-colta... allora perché tutti facevano i colti? Che
schifo... Io seguivo la mia strada, aiutato da Emilia Lo Jacono e da Simone
Balestrazzi, nient'altro...
Quando nella tua vita hai sentito con precisione di
voler investire tutto nella musica?
Beh, è stata una scelta abbastanza dura, proprio perché vengo
da una famiglia operaia. Ma già mio padre era una persona "strana",
per fortuna, una guardia giurata che ascolta i Kraftwerk, Morricone e
montagne di dischi è già una cosa inusuale, quindi mi ha sempre
aiutato, quando poteva. Per un po', negli anni '80, ho provato a fare della
disco elettronica e alcune cose hanno pure venduto bene, ma nessuno mi ha mai
pagato un centesimo in più di quello che avevo effettivamente venduto.
Volevo fare musica a tutti i costi, non mi adattavo ad altro e poi... volevo
fare la "mia" musica. Ho provato a fondere il suono dei KC con esigenze pop
andando a firmare con major e facendo lo scemo in TV... e non mi dispiaceva,
perché la pop-music non mi ha mai spaventato, dato che avevo le mie
convinzioni anche su quella materia e mi piaceva costruire musica in quel
senso, rispettando esigenze di mercato e personali, ma i soliti snob e figli
di papà vari ancora una volta non capivano, per loro eri solo un
traditore, un venduto. Probabilmente avevo solo fame e voglia di suonare, solo
che, appunto, nessuno sganciava i soldi dovuti, e poi sentivo troppo forte il
bisogno di tornare a lavorare anche su sonorità non troppo "allineate",
così nel '91 abbiamo auto-prodotto 'Todesengel' senza
speranze, e invece quel disco ha venduto molto bene e ci ha definitivamente
aiutati a lavorare un po' di più, anche dal vivo, e a sopravvivere.
Complessivamente comunque... la vera vita di merda.
Per concludere: quale consiglio ti senti di dare ad una
giovane band italiana per rompere questa "Ice Curtain" che opprime la nostra
scena?
L'unico consiglio è di raggiungere nel tempo uno stile personale,
anche non apprezzabile da tutti ma unico.., e di avere tanta forza, perché
se non c'è di che viverne e non si vuole mollare nello stesso tempo,
allora bisogna davvero fare una scelta difficile, anche perché non si
dovrebbe mai dimenticare di fare attenzione a tutto ciò che stà
musicalmente intorno, per evitare di copiare e contemporaneamente avere
stimoli. Bisogna studiare molto. fare pratica e dimenticare tutto quello che
si è appreso in un secondo. Non è facile... io sto
pericolosamente andando giù di testa... Non so gli altri...
Riccardo Chiaretti