Kronic web-zine, 02/2005
Così lontano così vicino
Un lavoro maturo. Forse è questa la definizione che
meglio calza al secondo album dei Siderartica. Più coraggio, più mezzi e la
voglia di raccontare attraverso una favola in nero quanto sia vicina la
terra di Dio se solo l'uomo alzasse gli occhi e volgesse lo sguardo lontano,
oltre alla miseria e al brutto che ha contribuito a creare. E' come guardare
la Luna, non è vero che è lontana. Ci si può arrivare ma lo si deve volere.
Costruito con un andamento fantastico simile a un viaggio "Shapes And
Colours..." ha il grande pregio di rappresentare appieno cosa siano oggi
i Siderartica, una band con un percorso definito che sfocia in una
elettronica d'avanguardia ma che sa anche sfruttare la lezione del passato.
Il segreto che sta dietro a questo mondo fantastico che sembra tanto
irraggiungibile si cela proprio in questo mistero: credere in lui e puntare
a raggiungerlo, perché chi si darà per vinto non saprà mai quali sono i
colori di un mondo migliore.
La prima cosa che si nota ascoltando l'album è la
netta evoluzione del vostro stile. Su tutto, inutile negarlo, il cambio di
registro della tua voce. Ora è spesso effettata e soprattutto rinuncia ai
toni più alti mentre in "Night Parade" questi erano molto più frequenti.
A cosa è dovuto questo cambio? E' legato anche al tipo di album che stavate
componendo?
Io credo che gli ultimi ad accorgersi di certe cose siano proprio i musicisti!
Ma, sicuramente, ogni momento compositivo non è mai uguale ad un altro e si
basa su intuizioni diverse. Per ogni particolare idea è giusto usare
specifiche sonorità sia strumentali che vocali. Così, di volta in volta,
la composizione è influenzata da nuovi stati d'animo, nuove esperienze,
nuove percezioni mentali. Anche rimanere per forza saldi ad un solo genere
musicale, che imposta ogni lavoro in modo fisso, metodico, rende arida la
creatività. E' giusto che la musica si trasformi dentro di noi, che sia in
continua evoluzione. Così, credo che soprattutto la voce debba seguire questa
scia, liberando a tratti aggressività, a tratti melodia, e l'uso tonale abbia
un ruolo molto importante in questo senso. Il nostro ultimo album è avvolto
da effetti, che ricoprono sia la voce che certi suoni strumentali e l'uso
sporadico del megafono sottolinea la presenza di un simil-narratore che
racconta, con voce a tratti nostalgica, i misteri e i drammi di un mondo
"fantastico" che fu, ma che potrebbe di nuovo essere trovato.
Anche lo stile musicale è cambiato, si può dire che
sia maturato in una evoluzione che ha messo spesso in secondo piano le
soluzioni più "facili" di "Night Parade" per favorire un sound più ricercato,
spesso vicino a scelte d'avanguardia e caratterizzato da una difficoltà di
ascolto maggiore. Lo si può giudicare un album che richiede molti ascolti
e molta attenzione per essere interiorizzato e compreso davvero?
"Night Parade" è forse un album più semplice proprio in virtù del fatto che
è stato il primo. In esso ci sono molte ingenuità e una Roland MC 505. E poi,
la sola idea di poter pubblicare un album ci faceva sognare, così
probabilmente c'è stata maggiore autoindulgenza da parte nostra! Adesso
abbiamo a disposizione più strumenti, che cerchiamo di destreggiare, siamo
più attenti all'uso dei suoni e forse più consapevoli nel cercarli, ma mi
piace pensare che certe ingenuità ci accompagneranno ancora nel tempo, dato
che i "metodi" mi spaventano a morte. Comunque, entrambi i dischi hanno
qualcosa da dire e credo che questa sia la cosa più importante, alla fine.
Mi è sempre piaciuta l'idea di un album in cui scopri qualcosa di nuovo ogni
volta che lo ascolti. Non sarebbe male se fosse il caso di "Shapes and
Colours..."!
Questa evoluzione può essere collegata anche al fatto
che "Shapes And Colours..." è un concept molto forte che esige una
sequenzialità nei brani e un certo stile per esprimersi al meglio?
Forse in "Shapes And Colours..." siamo riusciti ad organizzare meglio gli
argomenti. Voglio dire che, se in "Night Parade" c'è un costante indizio che
porta ad una relazione tra la notte e la guerra, tale concetto non è però
così esplicitamente spiegato, ma viene solo intravisto ed ha sicuramente
maggiore libertà interpretativa. In questo ultimo album c'è invece un
chiaro riferimento guidato insieme da musica e immagini, che porta alla
luce il tema di un'esistenza condannata da se stessa, quella dell'umanità,
descritta in chiave favolistica.
Ti va di parlarci di questo concept e di come è nato?
Faccio fatica a pensare a come è nato. Posso dire che sento molto l'esistenza
di una vita parallela a quella diurna. Il mondo onirico si insinua con
prepotenza in quello reale, regalandogli illusioni, poesie, dolori
addizionali ed anche un nuovo modo di sentire la vita. Ascolto molto questa
dimensione ed è inutile negare che i resti di essa fanno parte della mia
fantasia creativa. Ma, si sa, certe volte i sogni o alcune visioni non sono
altro che metaforiche allusioni ad una vera realtà. Così, in questo stato
"morfico", tra una ronfata e l'altra, mi accorgo di quanto siano strettamente
relazionabili la fiaba della terra di Dio e l'umana povertà di spirito.
Proprio come due opposti che si attraggono...
Credo che il vostro nuovo lavoro abbia una compattezza
invidiabile, che va oltre la musica per legarsi ai testi e alle immagini.
In particolare sono rimasto molto colpito dalla cover di "Swan" di Peter
Bengsten. Inizialmente, come sai, l'ho vista come il tentativo di
un'evoluzione da semplice uomo a qualcosa di diverso e più perfetto, un pò
come un'oltre-uomo. Poi metabolizzando l'album ho iniziato a credere che
"Swan" rappresentasse molto di più la condizione umana, debole e misera,
in confronto a quella che è la terra di Dio appunto, e in confronto quindi
a qualcosa di molto più vicino alla perfezione, da qui i contrasti cromatici
e metaforici. Per te cosa rappresenta questa cover?
La cover è stata per noi la ciliegina sulla torta! Quando Peter Bengsten
ha visto un nostro concerto a Copenhagen, ha pensato di offrirci qualche
sua foto per un eventuale nostro lavoro. In quel momento avevo già le idee
piuttosto chiare riguardo al concetto dell'album e "Swan" ha rappresentato
esattamente ciò che cercavo. La sospensione incantata dello scatto esalta
la bellezza del cigno e si concentra su di essa . L'uomo cerca di sfiorarlo,
di raggiungerlo, ma il fine velo che li separa sembra costituire una barriera
insormontabile; è come se non ci fosse più razionalità nella sua mente, ma
solo il forte desiderio di raggiungere ciò che per lui è impossibile avere,
tanto è bello, nonostante la oggettiva vicinanza. Questo forte momento di
sublimazione pervade la copertina così come l'intero disco. Ecco la
similitudine: la terra di Dio, allo stesso modo del cigno, è lì, davanti
a noi, ferma, disponibile, ma i nostri occhi hanno familiarizzato ben presto
con la miseria e vedono tale luogo come lontano, impalpabile, irraggiungibile.
L'attitudine al male nega alla ragione di poter abitare e dominare una
terra fantastica? La debolezza dei sensi ci costringe a sentire il peso
di un velo, impedendoci di sollevarlo? Ma forse è più comodo non sforzarsi
di pensare che in un paesaggio Parrishiano dovremmo ridimensionare i nostri
brutti sentimenti, ai quali ci siamo da tempo assuefatti.
Restando su questo argomento: il concetto di differenza
tra il mondo dell'uomo e un mondo altro è alla base di questo lavoro.
Questo mondo di Dio è una realtà mentale raggiungibile dall'uomo con
l'evoluzione o qualcosa di troppo lontano per la finitezza umana?
Tra il dolore, la diffidenza, i brutti ricordi, lo sconforto, i "diavoli" e
i buffi personaggi tristi che fanno via via capolino all'interno dell'album,
convive, un pò nascosto ma fiero, il concetto di grande forza di volontà.
La chiave sta proprio nel capire che non c'è niente di troppo lontano, che
la bellezza è spesso faticosa da gestire, ma mai ci ha esclusi dal suo campo
visivo. Semmai siamo noi che non sappiamo sentirla, neanche quando ci chiama,
perché spesso non abbiamo voglia di imparare il suo antichissimo linguaggio.
Basta pensare alla differenza tra erotismo e pornografia: milioni di anni
luce separano questi due concetti, ma tante persone neanche se ne accorgono.
E anche chi ha chiara la differenza, spesso, nella realtà dei fatti, non
concede spazio all'erotismo, bensì alla pornografia, perché normalmente
ci neghiamo il tempo di imparare la sensualità, perché ci si accontenta
di una sana trombata, perché ci è stato detto che il sesso è un bisogno
fisiologico, proprio come la fame... Ma, tornando a parlare di Dio, questa
terra dei sogni è con noi anche quando qualcuno getta delle cartacce per
terra o ruba del denaro, anche quando un pazzo stupra un bambino, quando
si fanno promesse che non si manterranno, anche quando la gente compra
delle orribili camicie a quadri e scarpe marroni di finta pelle ... Questa
terra fatta di incanto sta lì, non giudica, né si lamenta, aspetta solo di
essere scovata.
Ti chiedo questo perché "L'Ora Dorata" ha un cantato
molto simile a quello di una favola, distorta nel suono, ma che apre la
storia come se ci fosse un percorso/racconto metaforico in tutto il lavoro.
Cos'è per te questa terra di Dio? E come si manifesta se si manifesta?
L'apertura del disco è stramba e apparentemente a sé stante, ma serve per
introdurre quei toni di incanto e magia, di metafisica sarcastica e tenebre
che rimarranno per tutta la durata dell'album. E' una favola piena di ombre,
dove i personaggi dell'allegro villaggio si vedono disfare pezzo per pezzo i
loro sogni di felicità, fino alla distruzione totale del loro splendido
regno. Dopo rimarrà solo un ricordo lontano e lo sconforto per non saper
ritrovare la paradisiaca bellezza dei loro antichi luoghi. I piccoli
protagonisti della storia si troveranno a convivere con gli esseri
umani e pian piano dimenticheranno le loro vecchie usanze. Bene, la terra
di Dio ha per me le sembianze di una speranza enorme, è un forte credo in
una gloriosa esistenza, ma va saputa trovare, capire e amare. Lei esiste
solo se ci mettiamo seriamente a cercarla. Senza il reale desiderio di
credere che l'incanto può avere valenze effettive, non si potrà neanche
vederne l'ombra.
A questo riguardo mi sembra che il concetto di
divino sia ricorrente nei vostri lavori, infatti era presente anche in
"Night Parade". Come si è evoluto e quanto è cambiato in questi anni il
tuo modo di rapportarti alla "religione" e al concetto di qualcosa di
perfetto?
Ho idea che la mia vita sia fatta di religiosità, ma in senso ampio,
escludendo comunque le varie religioni che ruotano attorno a questo concetto.
Mi piacciono i santi e Dylan God, ehm, Dog... e mi piace pensare alla vita
come a un rito che rende importanti tutte le nostre giornate. Ogni mattino
splende di nuova luce ed io ho la certezza di poter decidere come sarà la
mia vita un pò alla volta, perché la mia religiosità mi dà potere. Ma
insieme ad esso, giungono anche sofferenza e molta rabbia. Nel rendere
mitica la vita di tutti i giorni, si scorgono ovunque cose che non vanno,
che devono essere sistemate. Allora, dato che non sono rompiballe per
natura, mi sto attrezzando, impegnandomi in corsi di sopravvivenza alla
stupidità e in studi sul come distribuire l'ostilità in modo equo e solidale...!
Ma, se penso a Dio subentrano le mie maggiori contraddizioni. I miei
pensieri, in questa direzione, non sono mai uguali a se stessi: credo di
amarlo profondamente, ma spesso lo accuso per ciò che ha fatto a noi e a suo
figlio. Poi penso che sia un dio molto triste e solo, amareggiato per la sua
impotenza e per non aver capito in tempo quanta forza ha il male, per essere
stato troppo fiducioso e ingenuo nei confronti degli esseri umani. Ma in
realtà non riesco mai ad avvicinarmi troppo a lui, io cerco la perfezione...
Tra l'altro questo concetto di un mondo migliore o
quanto meno differente dal nostro è ripreso anche nell'ultimo lavoro dei
Kirlian Camera. Là si parlava di un fronte, qui di una terra lontana. C'è
come in entrambi i lavori un'urgenza di fuga e di difficoltà/impossibilità
a valicare il muro che divide due "realtà" così differenti, una miserevole
e l'altra irraggiungibile.
L'urgenza di fuggire dal male, cercando comunque una soluzione, ma senza
evadere dalla realtà... questo, forse, è un tema che ci accomuna. La vita
è piena di male, tanto che, o non riusciamo più a contenerlo e il cuore
rischia di scoppiare, oppure c'è la mostruosa possibilità di abituarci a
ciò che è brutto, con il risultato di non "sentirlo" più. Noi abbiamo
lanciato un allarme. Poi le direzioni che Kirlian Camera e Siderartica
seguono, si separano nettamente: con "Invisible Front" c'è una disperata
ricerca di un mondo alternativo al nostro. E il risultato del lavoro è un
linguaggio che porta alla non umanità, come meta di salvezza. Si intravede
un punto di luce in una particolarissima zona del cielo, molto molto lontana
da qui, dove non esiste il sistema dimensionale terrestre e tutto si
trasforma in non-materia. Dio stesso è all'oscuro di questa nuova realtà,
perché è a se stante, oltre ogni livello di conoscenza. Al contrario, la
terra di Dio non è fuori da noi, perché la sua esistenza dipende propriodal nostro modo di agire e noi diventiamo la parte attiva di questo processo.
Non temi che, data la tua presenza in entrambi i
progetti, si possa pensare che il pensiero dei Siderartica sia stato
influenzato dalla visione dei Kirlian Camera e così venga sminuito il
vostro messaggio?
Dunque, io influenzo me stessa, Angelo influenza me, poi io influenzo lui
e Andrea e Andrea si fanno influenzare da me e Angelo, dopo averci a loro
volta influenzati. Ok, a parte la grande febbre del sabato siderkirlianesco,
perché il nostro messaggio dovrebbe essere sminuito?!? Siamo 5 ragazzi
onesti...!
Ok, allora, torniamo un attimo all'album: ci sono
alcune cose che mi hanno molto incuriosito, ad esempio l'uso della voce
in "Lucy Pharr's May". Ci puoi spiegare il suo significato? A me ricorda
quasi la voce di un predicatore...
"Lucy Pharr's May" è l'altra faccia de "L'ora dorata". In pratica è la sua
parte negativa, quella della distruzione. Qui la voce maschile, quella di
Carlo Dainelli, è molto trattata e si ha l'impressione di ascoltare una
vecchia registrazione trovata in qualche luogo remoto, fuori dal nostro
tempo (lo scricchiolio che si sente è ovviamente voluto). In effetti,
l'inquieta voce narrante sembra predicare, descrivendo gli avvenimenti
come un qualcosa che era già stato predetto.
Da dove deriva la necessità e la scelta di realizzare
una parte centrale dell'album molto più minimale e ambientale rispetto
soprattutto ai primi brani?
Direi proprio che è stato quasi un bisogno da parte nostra, questo fermare
per un momento le canzoni per abbandonarci completamente all'ambiente della
fiaba. Volevamo qualche minuto dove non si dovesse cantare, pensare, né
ballare, ma essere semplicemente "trasportati", lasciandoci assorbire da
lunghi suoni, a tratti un pò inquietanti e altre volte pacifici e naturali.
A mio parere, troppe canzoni, una dietro l'altra, avrebbero appesantito e
reso claustrofobico l'album.
Un'altra cosa che mi ha interessato è l'influenza
che ha avuto "Portrait of Jennie" sull'album o quanto meno sulla title
track; ce ne puoi parlare?
Uno dei primi brani ad essere stati pensati e che quindi ha dato subito
una certa "forma" all'album, è "Shapes from the Land of God", per il quale
ci siamo ispirati ad una sciocca canzoncina che appare nel film "Il ritratto
di Jennie". Ho visto più volte questa pellicola, non perché sia così bello,
ma per la talentuosa "forma" di evocazione che riesce ad emanare. Quasi
l'intera ripresa scorre su tele pittoriche in un cupo e teso bianco e nero.
Basta la sola vista di quello schermo per entrare nel suo mondo d'ombre,
non ci sarebbe neanche bisogno dei dialoghi o di un narratore per capire
dove ci troviamo. Quindi il suo ruolo non è trascurabile affatto
nell'economia dell'album, ma, anzi, si fa subito respirare con forza,
assecondando la nostra indole più nera.
Se ti dico che ho notato certi rimandi al pop più
raffinato degli anni ottanta cosa mi rispondi?
Devo dire che la cosa non mi dispiace affatto. Alcune sonorità di quegli
anni sono rimaste dentro di me come un piacevole ricordo, benché fossi
troppo piccola per capirle. Il nostro avvicinamento ad esse è stato del
tutto involontario, tanto che ho conosciuto certe "perle di saggezza" del
periodo in questione solo in veneranda età(!), ma forse, dal punto di
vista psicologico, può essere considerato un riscatto per il fatto che
ho iniziato negli anni '90 inoltrati a dedicarmi alla musica, perdendomi
così dei passaggi importanti propri del decennio precedente. E' buffo che
adesso senta determinati suoni vicini e familiari quindi, perché no, via
libera a queste muse ispiratrici dal passato!
Chi o cosa si aspetta in "Apollyon's Waiting Room"?
A me ha fatto tornare alla mente la stanza del finale di "2001. Odissea
nello spazio"...
La sala d'aspetto di Apollo è flusso di memorie etniche ormai annebbiate,
i cui scampoli vengono ri-memorizzati in una forma-cartolina dal gusto
olimpico, ellenico. In questa sorta di "processo sintetico", il tuo
riferimento al futuribile può avere riscontro.
L'album si chiude con "Nuova York Anno 4". E' inutile
negarlo. Una delle prime cose che ho pensato è stata: perché New York e
quanto è voluto il riferimento alle torri gemelle e a tutto quello che è
successo dopo? So che chiudere un album come il vostro parlando di una
nuova città può essere ricollegabile al concetto di qualcosa che cambia
e si evolve, ma se penso anche al 4 messo alla fine mi viene in mente
che siamo appena entrati nel quarto anno dall'11 settembre. C'è un legame
in tutto questo?
In realtà non ho mai pensato alla vicenda dell'11 settembre, anche se il
titolo lascerebbe intravedere un legame. Ho ambientato il ritorno del
messia sulla terra in un'epoca come la nostra, in una città come New York,
che rappresenta la massima espressione di modernità. Ci troviamo in una
grande piazza della città, dove, ancora una volta, Cristo non è stato
creduto e quindi viene umiliato, deriso, accusato; ancora una volta si
assiste alla sua crocifissione. Il tempo trascorso non è valso a niente
e gli uomini, a dispetto delle loro agende elettroniche formato tramezzino
e della loro civiltà avanzata, fatta di ufo e patatine fritte, non riescono
ancora a sentire le urla delle loro anime. Per questo motivo, ogni notte in
cui esisterà il mondo, il figlio di Dio sarà costretto a muoversi nelle
tenebre, trascinando con sé la sua pesante croce, mentre tutti guarderanno
con idiota disprezzo chi l'ha crocifisso prima di loro.
Negli ultimi tempi mi è capitato di ascoltare molti
gruppi che parlano della società in cui viviamo in termini molto preoccupati
e critici. C'è un legame che mi interessava presentarti: gli Ataraxia nel
loro ultimo album parlano dell'uomo come di una misera ciurma che va alla
deriva in paragone al gabbiano, voi scegliete una cover che confronta un
uomo sconfitto e debole con un cigno, simbolo di eleganza e purezza. Viviamo
davvero in una società che scivola sempre di più verso il degrado? E come
o quando secondo te è iniziato tutto questo?
Beh, detto così sembra che noi giovani bands italiane abbiamo il mito
dello zoo! Non mi ricordo una società che sia stata "pulita". Non mi
piacerebbe per niente vivere nel Medioevo o prima di Cristo, né in nessun
periodo storico precedente a questo. L'uomo è nato sbagliato, ma ha tutte
le carte in regola per potersi migliorare. E' questo che mi fa più
incazzare, che non lo faccia. Non sono mai stata pessimista perché credo
in ciò che voglio, ma ciò che voglio in questo mondo si traduce in termini
di allucinazione. Io credo che ogni essere umano possa sviluppare una sorta
di intelligenza sensibile che sarebbe sufficiente per condurre una vita
piena di autostima e, soprattutto, per non rompere le balle agli altri.
La miseria dell'uomo consiste nella sua non volontà di desiderare ciò che
è bello, basta vedere le nuove costruzioni edili che si ergono fiere nelle
nostre città! Alle persone piacciono gli animali e i bambini... Che schifo!
Quali sono i colori della terra di Dio?
Basta guardare certe tele di Maxfield Parrish per entrare nei colori della
terra di Dio. Essere inghiottiti da caldi cieli aranciati ma elettrici,
laddove ogni tinta sia rafforzata da brillanti radiazioni e,
contemporaneamente, vi si posino sopra morbide danze di ombre. E la notte,
fatta di un nero corvino, dove scivolino gonfie le lacrime dell'inverno di
cristallo...
Federico Tozzi
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