Centro Di Gravità, 03/1995
BIRKENAU SOLARIS - (Italy, June 1992 - March 1995)
Sui riferimenti al sacro nell'opera dei Kirlian Camera.
La musica dei Kirlian Camera si affaccia sul sacro. E sebbene le modalità con
cui esplora questo complesso simbolico siano sempre molto tormentose e non
prive di una profonda diffidenza nei confronti degli esiti di questa
esplorazione, sembra comunque necessario portare alla superficie almeno
alcuni di quegli elementi che si possono stabilire con un certo grado di
certezza.
In questo senso, nell'evolversi della loro discografia, Solaris assume un
ruolo centrale, dopo che i temi del dolore e della morte, Schmerz, Todesengel,
avevano già dichiarato, in via preliminare, le coordinate in cui si muoveranno
i protagonisti (spesso disperati) di questa ricerca; un punto di snodo,
l'apice di una parabola agghiacciata in cui le possibilità di salvezza sono
drasticamente ridotte. Fin dal suo presentarsi come un viaggio ultraterreno
(la loro è musica sacra molto semplicemente perché attinente alle cose divine).
Solaris si propone come la cronaca di un evento riconciliatorio mancato, di
una possibilità sottratta al protagonista di adesione alla propria coscienza;
il passato del mondo ("Com'è il passato, nella coscienza?") vi si frappone.
La scelta di adottare Solaris per questo viaggio ultraterreno è in questo
senso quasi trasparente: il film, in modo particolare, che finisce su un'immagine
di forse apparente riconciliazione. E' anche nella tradizione dei transiti per
stazioni, di un avvicinamento, al termine del percorso, rivelatorio- (per
rivelazioni):nella direzione di una luce che viene meno- la cui apparizione
(di luce) è comunque alterante, (Pomeriggio notturno)- se non drogata.
La natura oltremondana dell'esperienza appare fuori discussione, rivelata
almeno dall'enigmatica presenza dei cani sulle scale, ai quali fa riferimento
un titolo; sono a custodia degli inferi. (Cerbero, che è il trifauce e
implacabile custode dell'ingresso infernale) E dall'angelo Enned, guardiano
dell'ultimo corridoio.
Nelle note di copertina, Enned è identificato a destra, Satana a sinistra; e
se il senso -la direzione- di lettura rinvia anche a un ordine temporale degli
eventi, sembra allora chiaro che la destinazione finale vada sotto il segno di
una punizione, perlomeno di un fallimento- Enned è anche il primo titolo,
della serie di canzoni- che trova espressione significativamente nel dissolversi
della speranza. La natura del suo ruolo (di Enned), stranamente, viene però
rivelata con maggior chiarezza in una canzone che apparirebbe esclusa
dall'ordine maggiore del lavoro; che è stato pubblicato in due formati.
Nell'edizione più ampia della raccolta, si nota la presenza, nel secondo cd,
di almeno due titoli che sembrerebbero far parte della narrazione principale,
(di entrambi è riportato il testo) e che mancano nell'edizione più breve:
Letter to my killer e The secret of the third communication. Nella seconda di
queste due canzoni, l'angelo Enned è caratterizzato con sufficiente
precisione (il senso stesso del suo rifiuto) da fornire una traccia più che
significativa: (viene facile tra l'altro la tentazione di associare il titolo
alla famosa, e naturalmente segreta, terza rivelazione di Fatima) sta
svuotando di senso, di proprietà, la morte, la fine del protagonista di questa
discesa.
Dove per fine s'intende: l'aver trovato il proprio giudizio.
Il percorso compiuto appare svolgersi a ritroso, in una sorta di visione
regressiva, in cui la Storia acquista un valore estremamente negativo-
Krematorium, Birkenau: Non tanto la colpa del singolo individuo inquina il
potenziale riconciliatorio della rivelazione, quanto l'inutile ricerca di
un'ipotesi redentiva in un paesaggio oltremondano stravolto dalla manifestazione
del male assoluto- (vedi: nazismo- vedi: Caino che uccide Abele)- Dove la
proibizione di uccidere Caino (da parte di Dio) rappresenta anche un limite
all'esercizio della giustizia (da parte dell'uomo), "La giustizia è mia", un
limite alla rivelazione del bene, nella storia-
"Ma dov'è il passato, nella coscienza?"
"Nel bene che è rimasto impossibile"-
E infatti Solaris (soprattutto il film) è sostanzialmente un accesso al
passato –tra l'altro apparente- che permette di scegliere di nuovo, e
permette di scegliere correttamente- (Tarkovskij: "...Coś in Solaris.
L'astronauta, nonostante la sua scienza, è quasi un ometto, pieno di debolezze,
ma alla fine, quando si trova faccia a faccia con la propria coscienza, non
esita, sceglie le vie giuste...")
Ma nei Kirlian Camera, nonostante l'emergere delle figure, nonostante Solaris
le materializzi (e può farlo soltanto accedendo a informazioni nella
coscienza), la riconciliazione fallisce; domina una sensazione di estraneità
quasi fatalistica, percepibile con chiarezza in Letter to my killer e Solaris
IV: "Verso casa!", grida in quest'ultima. La casa sarà deserta. La madre
disperatamente cercata (ricordata) introvabile. L'oceano stesso, di ghiaccio,
produce un gelido miracolo d'assenza. La richiesta che venga data la morte
(al protagonista) perché il suo dolore finisca risuona nel vuoto. Ed è
evidente il carattere rivelatorio di questa assenza.
La loro opera diventa un piccolo Libro dei morti che rivela un solo transito,
consentito alla coscienza, che ha acquisito la consapevolezza, in assenza di
perdono, del male, al quale non può sottrarsi individualmente, con l'affermare:
me, dunque una possibilità individuale; perché il pianeta è penetrato più a
fondo di quanto possa una sonda più esile, che inizia con il dire: "Io".
Non trova infatti soltanto una condanna, ma un'unica via percorribile.
Forse anche per questo, il progetto artistico di Bergamini rimane in qualche
misura frammentario, non si compie nella sua interezza, assume personalità
diverse; come se la speranza rimanesse dove il progetto si logora, o nel suo
parziale disordine.
Le tessere non aderiscono perfettamente nel mosaico, la speranza diventa
speranza di poter riscrivere, ridisegnare l'ordito.
Permette un passo ulteriore.
E infatti non sempre risulta agevole identificare storicamente le persone
alle quali le canzoni si riferiscono; per esempio, i morti nel brano finale
Fur immer, che attendono, dopo anni di martirio, una inutile resurrezione.
Ma è abbastanza chiaro che i riferimenti al sacro nei successivi due lavori
rimangano, seppure in modo diverso, molto marcati; ma, a dimostrazione che
con il precedente è venuto meno un qualche equilibrio, una qualche tensione,
il primo dei due (Pictures from eternity) è almeno apparentemente informato a
una visione meno lacerante di Solaris. Vi troviamo subito un elemento molto
immediato, un kirje; tanto spettrale, quanto intensamente (intenzionalmente?)
nostalgico; e un brano, "I am the Light", il cui titolo rimanda a una metafora
piuttosto comune, nel campo dell'emozione religiosa, e in cui si materializza
un senso di autoconsapevolezza quasi del tutto estraneo, in Solaris.
"Pictures from eternity" rinnova la richiesta di salvezza (trova la via della
preghiera) che Solaris aveva perlustrato senza successo, pervenendo a una
rivelazione gelida, imprevista, forse incompresa.
"Ascension" e, in seguito, "Your face in the sun", propongono entrambi una
presenza luminosa, una luce salvifica, che permette di oltrepassare un
ostacolo- (dove spesso la luce si era dimostrata un elemento perturbante e
persino sgradevole, in precedenza).
L'immagine di una pietà si estende a (quasi) tutte le pagine del libretto.
Rimane però il fatto che la figura cristologica di "I am the light", con la
sua emancipazione dal padre e dalla madre, sembra aver fatto dell'alterità
(la luce appena cantata in "Ascension") il solo luogo possibile, "Si è
liberato, ma è altro (da noi)", in cui trovare rifugio e salvezza. E ancora,
in più di un'occasione, i toni si incupiscono.
Struggente e malinconico, questo disco non lascia del tutto presagire il
mutamento di rotta che la più recente produzione, "The desert inside",
permette di intuire fin dalla veste grafica. La copertina, infatti, quasi
completamente bianca, assume il senso di una totale eliminazione di tutta la
precedente iconografia (direi quasi idolatria, il farsi un cammino di immagini
per materializzare l'invisibile, alla costante ricerca di un contatto che
continua a sfuggire), per aprirsi una via alla desertificazione dei propri
miti, venendo a privilegiare il percorso dei padri della spiritualità
cristiana. Cioè, è in questo venir meno dell'incubo della storia, che
l'individuo può proporsi una prospettiva di redenzione praticabile, in questo
rifarsi chiarezza in tutto ciò che si era ingarbugliato. Guardare dal deserto,
che è il luogo dell'assenza, guardare da un punto senza tempo; e in questo
senso l'immagine interna del libretto è altrettanto pr ogrammatica. Quel che
rimane, in questa affinità al sacro, è appunto il dolore, la possibilità di
tracciare una nuova mappa, se occorre priva di coordinate piuttosto che
allucinata, che si fa deserto per la preghiera, d'altra parte ancora non
detta.
Franco Basso
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